“Abbiamo bisogno di quel contatto con la persona che amiamo quasi quanto il bisogno di respirare. Non l’ho capito fino al momento in cui non ho più potuto averlo.” – Stella
Questo l’incipit di A un metro da te e il concetto attorno al quale ruota l’intero film, che racconta la storia d’amore tra due adolescenti affetti da fibrosi cistica, interpretati da Haley Lu Richardson e Cole Sprouse e diretti da Justin Baldoni.
Protagonisti Stella e WiIl, conosciutisi nell’ospedale nel quale sono in cura, dove hanno scoperto i vari modi attraverso cui la terapia e la vita possono essere affrontate.
Ed è così che un’ottimista cronica e un inavvicinabile cinico interagiscono a distanza di sicurezza, “Five Feet Apart“, a un metro l’uno dall’altro, per non aggravare ulteriormente le loro già precarie condizioni di salute.
Consapevoli della lunghezza della propria vita e delle complicazioni che il loro status comporta, i due non riescono a resistere al sentimento trascendentale che nutrono e portano avanti una relazione senza mai sfiorarsi.
Five Feet Apart – questo il titolo originale del film distribuito in italia da Notorious Pictures – prova a sensibilizzare il pubblico sulla fibrosi cistica raccontando una storia d’amore alla Romeo e Giulietta e, almeno in parte, ci riesce.
La malattia genetica, infatti, non fa da semplice cornice, ma viene presentata e documentata lungo tutto il lungometraggio scandendo il ritmo di un genere dove, tuttavia, i cliché non mancano.
Destinato a un’audience prevalentemente teen, anche lo spettatore fuori target si ritroverà piacevolmente sorpreso dalla prima parte del film, che riesce efficacemente ad amalgamare gli ingredienti principali, facendo empatizzare presto con i personaggi e la loro complessa malattia.
Grande merito di ciò va dato a Haley Lu Richardson, capace di tutte le sfaccettature che un personaggio affetto da fibrosi cistica potesse offrire in due ore di film. La giovane e promettente attrice riesce a districarsi egregiamente tra i cliché young adult, soprattutto dal momento dell’arrivo di Will, il cinico ragazzo interpretato da Cole Sprouse. La star di Riverdale è stata sì capace di riscattare un personaggio stereotipato, ma non ci ha lasciato qualcosa di nuovo rispetto alle interpretazioni precedenti. La chimica tra i due, invece, è indiscutibile e convincente.

Tra i punti deboli, ma obbligati dalla trama, l’ambientazione unidimensionale dell’ospedale, che solo nella seconda parte del film si sposterà, forzatamente, verso l’esterno.
A dare dinamismo alle ambientazioni e ai dialoghi spesso prevedibili arrivano la regia di Justin Baldoni e le colonne sonore: il regista, alla sua prima esperienza dietro alla macchina da presa, fa il possibile per dare dinamismo a scene spesso senza sufficiente raggio di azione, mentre la musica si rivelerà la goccia capace di far traboccare il vaso della commozione dello spettatore, chiamato a resistere a montagne russe emozionali.

A un metro da te riesce a colpire appieno il pubblico amante del genere, provando a convincere anche l’audience più matura, grazie a un cast valido e a una sensibilizzazione della malattia che non sfocia mai nella retorica.
Tuttavia, il realismo della prima parte del film si scontrerà presto con cliché prevedibili e pleonastici che invaderanno la sceneggiatura dell’ultima frazione: le ambientazioni e le scelte out of character attribuite ai protagonisti – come ad esempio Stella che, con un disturbo ossessivo-compulsivo, d’un tratto si dimentica delle sue manie dell’ordine e del rispetto ferreo per le regole – abbattono le fondamenta del film.
Nonostante ciò, A un metro da te sarà in grado di conquistare il pubblico per cui è stato concepito, facendolo riflettere sia sulla malattia sia sull’importanza degli affetti; al contrario, le forzature di genere intaccheranno la fiducia dello spettatore demograficamente fuori target, ridimensionando il film a pellicola young adult romantica.
A un metro da te arriverà nelle sale italiane il 21 marzo. Andrete a vederlo? Fateci sapere le vostre impressioni sulla nostra pagina Facebook, su Twitter o su Instagram.